14
Lug2022

IL NUOVO REATO DI «IMPORTAZIONE ILLECITA DI BENI CULTURALI»

Come per il «furto di beni culturali», il reato di «importazione illecita», previsto dal novello art. 518-decies c.p., rappresenta una novità assoluta nel nostro Ordinamento giuridico (dopo un lungo e immotivato vuoto normativo), che nasce da istanze volte a contrastare l’allarmante fenomeno del traffico illecito di beni culturali, la cui natura transnazionale impone una regolamentazione su scala internazionale.

Deve dirsi che in precedenza mal si applicavano, in area comunitaria, le norme in materia di “contrabbando” collegate ad una prospettiva di protezione di interessi principalmente di natura economico-finanziaria e non di “valori culturali” meritevoli di protezione in sé.

Questo il cambiamento, per molti aspetti rivoluzionario, che ha informato i recenti interventi normativi in materia di tutela del patrimonio culturale e le scelte, soprattutto in termini di inasprimento del trattamento sanzionatorio, del Legislatore nazionale che è intervenuto con L. 9 marzo 2022, n. 22.

Riprendendo l’art. 5 della c.d. Convenzione di Nicosia, motore primo della “riforma penale” domestica, la nuova fattispecie penale prevede:

1. Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati previsti dagli articoli 518-quater, 518-quinquies, 518-sexies e 518-septies, importa beni culturali provenienti da delitto ovvero rinvenuti a seguito di ricerche svolte senza autorizzazione, ove prevista dall’ordinamento dello Stato in cui il rinvenimento ha avuto luogo, ovvero esportati da un altro Stato in violazione della legge in materia di protezione del patrimonio culturale di quello Stato, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 258 a euro 5.165.

Tra i diversi elementi da considerare, si segnala una questione di non poco conto. Oggetto materiale dell’incriminazione sono i “beni culturali provenienti da delitto ovvero rinvenuti a seguito di ricerche svolte senza autorizzazione, ove prevista dall’ordinamento dello Stato in cui il rinvenimento ha avuto luogo, ovvero esportati da un altro Stato in violazione della legge in materia di protezione del patrimonio culturale di quello Stato”. Ciò significa un rinvio imprescindibile (anche) alle norme extra-penali che disciplinano la materia in quello Stato: norme (ma anche correlate procedure, aspetti legati alla “pratica”…) che devono essere conosciute dal soggetto che voglia importare in maniera lecita i beni. Un obbligo di conoscenza certamente impegnativo ma assolutamente necessario.

Un altro elemento importante. Per l’effetto dell’art. 518-undevicies c.p., anche al precetto in commento viene applicato, derogando al principio di “territorialità” stabilito dall’art. 6 c.p., quello di “universalità” in ragione del valore, appunto, universale del patrimonio culturale: pertanto «non sarebbe neppure necessario (e sufficiente) che in Italia sia avvenuta una parte dell’azione, anche piccola, purché preordinata, secondo una valutazione ex post, al raggiungimento dell’obiettivo delittuoso dell’importazione» (cfr. Corte di Cassazione, Ufficio del massimario e del ruolo, Servizio Penale, Relazione su “Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale (legge 9 marzo 2022 n. 22)”, 21 giugno 2022)

In attesa che la riforma divenga del tutto effettiva ed operativa, ci dedicheremo ad un’altra rilevante novità introdotta dalla “riforma” ovvero la responsabilità degli enti per i reati contro il patrimonio culturale.

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