23
Nov2022

ABUSO EDILIZIO, QUANDO NON SI PUÒ DEMOLIRE

Il ripristino dello stato dei luoghi è impedito solo se l’abbattimento delle parti abusive connesse a quelle assentite determini perdita di staticità dell’intero edificio. Così si è recentemente espressa la Corte di Cassazione, sezione III sentenza con la sentenza n. 43250 del 15 novembre 2022.  Secondo il giudice di legittimità nel caso in cui le opere abusive siano interconnesse con opere assentite e quindi lecite, la demolizione deve riguardare solo le prime, con salvezza di quella lecitamente realizzata, sempre che entrambe siano univocamente identificabili come tali e che, dunque, il bene non sia stato sottoposto a modifica radicale e definitiva; in tal caso, infatti, non potrà che giungersi a una demolizione integrale del manufatto.

In materia di edilizia, pertanto, il giudice dell’esecuzione ha il potere-dovere di verificare la legittimità e l’efficacia del titolo abilitativo, sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza, la corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione e, qualora trovino applicazione disposizioni introdotte da leggi regionali, la conformità delle stesse ai principi generali fissati dalla legislazione nazionale.

Questo principio vale anche in relazione alla sindacabilità dell’accoglimento dell’istanza ex art. 33, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, dovendo, anche in tal caso, il giudice dell’esecuzione verificare i presupposti contemplati dalla norma in esame, a tenore dalla quale, “qualora, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile” prevede l’irrogazione di una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere.

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