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Ott2022

PREVENIRE IL RISCHIO DI REATO: IL MODELLO ORGANIZZATIVO E IL RUOLO DELL’ORGANISMO DI VIGILANZA

La Corte di Cassazione penale, sez. VI, si è pronunciata, con sentenza depositata in data 15 giugno 2022, n. 23401, in merito all’idoneità del modello organizzativo adottato da una società rispetto al rischio di commissione dei reati connessi alle attività informative, nonché al controllo che su di esso è tenuto a svolgere l’Organismo di vigilanza (O.d.V.).

Sul punto, la Corte – dopo aver ricordato come spetti all’accusa provare, in concreto, la colpa di organizzazione – afferma che la mera commissione di un reato che determini un vantaggio a favore dell’ente non comporta, di per se, la responsabilità dello stesso per colpa organizzativa.

L’Ente, infatti, risponde solo nei casi in cui non si è dato un’organizzazione adeguata, omettendo di osservare le regole cautelari che devono caratterizzarla.

In un siffatto contesto, il giudice dovrà, pertanto, valutare il modello adottato, considerando anche l’imputazione all’Ente del risultato colposo; dovrà valutare se l’offesa tipica (la commissione di un reato nell’interesse o a vantaggio dell’ente) sia stata determinata dall’inosservanza di una regola cautelare che l’ente abbia omesso di autoimporsi con il modello, pur avendo l’obbligo giuridico di farlo.

Per fare ciò, il giudice, nella sua valutazione, dovrà collocarsi idealmente nel momento in cui il reato è stato commesso e verificarne la prevedibilità ed evitabilità qualora fosse stato adottato il modello virtuoso, secondo il meccanismo epistemico-valutativo della c.d. prognosi postuma.

Non solo, la Corte di Cassazione ricorda anche come, per determinare la responsabilità amministrativa da reato dell’ente, non sia sufficiente individuare una “falla” nel modello organizzativo, ma occorra anche accertare un nesso causale tra la lacuna e la commissione del reato presupposto nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

In ultimo, la Corte di Cassazione si è posta il quesito cardine della vicenda in punto di diritto, ossia individuare fino a quando sia legittimo esigere che anche gli atti dei massimi rappresentanti di una società siano sottoposti a un controllo, tanto più se di tipo preventivo, da parte dell’Organismo di vigilanza.

A tal proposito, la Cassazione afferma il principio per cui non è ipotizzabile un controllo preventivo su qualunque atto degli apicali dell’organizzazione da parte dell’O.d.V., perché l’art. 6, comma 1, lett. b), del D.lgs. 231/2001 prevede che i compiti dello stesso si limitino a individuare e segnalare le criticità del modello e della sua attuazione. Un controllo più pervasivo sarebbe, in concreto, non esigibile, in particolare con riferimento ai reati di tipo comunicativo, anche perché si sfocerebbe nel vero e proprio controllo gestorio, del tutto estraneo alla natura e ai compiti dell’O.d.V.