10
Mar2022

L’EXPERTISE: PER UNA CONOSCENZA “SCIENTIFICA” DELL’OPERA

a cura della Dott.ssa Tiziana Zanetti

Anche alla luce della recentissima riforma della tutela penale del patrimonio culturale, e partendo dalla necessità imprescindibile – per il soggetto pubblico o privato che ne sia proprietario o possessore – di una conoscenza dettagliata e approfondita dell’opera, ci soffermiamo sull’expertise. Si tratta del documento fondamentale, una sorta di carta d’identità dell’opera, tanto più rilevante quando si tratti di un (possibile) bene «di interesse culturale» poiché in essa sono contenuti tutti gli elementi necessari per una sua corretta conoscenza e valutazione (non solo economica).

Per approfondire la questione abbiamo intervistato un esperto d’eccezione: Daniele Cassinelli, storico dell’arte, conservatore e direttore museale, perito. I diversi sguardi sull’opera che i suoi ruoli gli consentono risultano particolarmente preziosi e interessanti (anche) per la nostra analisi.

L’expertise: per una conoscenza “scientifica” dell’opera? 

Catalogando opere d’arte capita spesso di incontrare expertise che emergono da un passato più o meno remoto. Nella maggior parte dei casi tratta di fogli e foglietti stilati da galleristi e gallerie, case d’asta o persino critici che riportano semplicemente i dati inerenti l’opera (autore, titolo, misure, tecnica, valore economico…) e concludono con un asciutto “in fede” e la firma dell’esperto. A volte queste iscrizioni sono talmente stringate che sono contenute in una etichetta sul retro della tela, sulla cornice o sul basamento, applicate da operatori incuranti persino dei danni che le colle viniliche arrecano ai supporti. Questi documenti ci dicono pochissimo sull’opera, e ancor meno registrano valori aggiornati o in qualche modo aggiornabili, piuttosto leggendole conosciamo il valore di acquisto. Altre expertise invece sono delle vere e proprie schede scientifiche ed è a questo che dobbiamo ambire. Le vere expertise sono complete di ogni dato inerente l’oggetto e molti cataloghi d’asta sono fonti fondamentali per gli studiosi.

L’expertise ben fatta dunque è una accurata scheda scientifica dove si parte dall’analisi dell’opera, del suo soggetto, della storia dell’oggetto e del suo autore, della tecnica e dei restauri e si procede passo passo incrociando questi dati con quelli di altre opere d’arte coeve o dello stesso artista, con la stessa tecnica, ricorrendo, ove serve – e spesso serve – ad analisi dei materiali di stampo tecnologico. Infine, acclarato nel modo più circostanziato possibile di cosa stiamo parlando, si procede alla valutazione del valore economico, sempre rinviando per analogia ad altri oggetti. In questo momento bisogna anche tener conto del contesto di provenienza e di conservazione; un cimelio raro, ad esempio, seppur oggetto piuttosto comune, se appartenuto a un personaggio o a una collezione importante per la storia, può assumere un valore difficile da ponderare. Si tratta solo di connettere oggetti e storie, chiamando a farlo, trattandosi di expertise, un esperto, appunto.

A volte l’arte non consente di raggiungere la verità ultima, definitiva e condivisa in punto di paternità, dunque di attribuzione e autenticità di un’opera e la questione arriva nelle aule di Tribunale. Quale è la funzione dell’expertise in tale contesto?

In una expertise spesso si tenta di attribuire un’opera a un autore in quanto la paternità è intrinsecamente connessa al valore economico di un bene, ma il valore di un oggetto non risiede nel nome del suo autore, piuttosto si compone di diversi fattori. La sua rarità, il contesto di provenienza e conservazione, lo stato della conservazione e così via. Ogni oggetto attiva connessioni e in queste connessioni possiamo trovare la riposta alla domanda ricorrente: “Ma quanto vale?”

Il valore che misuriamo in denaro però è solo il capolinea di una ricerca complessa, articolata, in grado di integrare tra loro diverse arti e tecnologie e, soprattutto, infinitamente seducente per chi la conduce e per chi la commissiona.

La pala d’altare secentesca di una villa nobiliare della pianura lombarda trova la sua dimensione valoriale nel contesto di provenienza: il contenitore architettonico monumentale si arricchisce del dipinto e viceversa. I capolavori che trovano casa nell’abitazione di un collezionista appassionato e amante dell’arte, spesso si sviliscono se privati di questa dimensione. La “pesantezza stanchevole” che percepiamo in alcuni musei deriva proprio da questa disconnessione tra le opere d’arte e un contesto vitale, che non obbligatoriamente è quello originario. Infatti i collezionisti a volte sono capaci di ricostruire un nuovo contesto in modo sublime, basti fare un giro in qualche casa museo di Milano e dintorni, dai Boschi Di Stefano alla Fondazione Prada, dai Bagatti Valsecchi a una gita fuori porta per ammirare la Villa Panza di Biumo. Per non parlare delle tante collezioni private che gli storici dell’arte hanno la fortuna di conoscere e delle quali, naturalmente, si tiene riservatezza. Molti lombardi adornano le proprie abitazioni con opere strepitose; la mostra da poco inaugurata al museo Poldi Pezzoli e dedicata ai dipinti “milanesi” studiati da Federico Zeri mostra questo mondo, anche se solo dal buco della serratura.

Inseguire un nome per un esperto è meno importante che ricostruire la storia delle opere d’arte e restituire agli oggetti quella che chiamiamo “aura”. Riportato fra i suoi pari l’oggetto poi spesso restituisce volontariamente il proprio autore. Potremmo dire quasi che le opere d’arte, quando trovano casa, “confessano”.

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