03
Nov2021

CORRUZIONE PROPRIA O IMPROPRIA?

La Cassazione fa chiarezza 
(Cass. pen., sez. VI, ud. 30 aprile 2021 (dep. 1° ottobre 2021), n. 35927)

La Suprema Corte di Cassazione si è trovata di fronte a un caso di affidamento diretto del servizio di raccolta rifiuti in cambio di assunzioni ove un Sindaco era stato sottoposto a procedimento penale in relazione ai reati di turbata libertà degli incanti e corruzione propria. 
Secondo l’accusa, il primo cittadino avrebbe affidato – senza gara e ad un prezzo di aggiudicazione superiore a quanto da senpre sostenuto dal Comune – il servizio di raccolta rifiuti ad una impresa in cambio di assunzioni, donazioni e sostegno elettorale. La difesa sosteneva la legittimità di siffatta decisione in quanto l’affidamento sarebbe avvenuto in virtù non solo in forza del potere discrezionale dell’Ente, ma soprattutto in quanto l’aggiudicatario sarebbe stato l’unico soggetto disponibile ad assumere l’incarico.

La Suprema Corte ha asserito che il tema del rapporto tra esercizio della discrezionalità amministrativa e corruzione coinvolge l’interpretazione del sintagma “atto contrario ai doveri d’ufficio“, di cui all’art. 319 c.p. ed assume una sua rilevanza problematica perché non tutte le regole che presiedono all’esercizio della funzione amministrativa discrezionale hanno lo stesso grado di precettività. Anche se ogni singolo atto, di per sé considerato, corrisponde ai presupposti normativi – come nel caso in cui il funzionario si adoperi al solo fine di velocizzare la definizione di un procedimento senza tuttavia inficiarne l’esito -l’inquinamento “alla base” della funzione imporrebbe di ritenere integrato il reato di corruzione propria.

L’atto amministrativonon costituisce un presupposto del reato, ma è lo strumento di cui l’agente si serve per commettere il reato; l’atto viene in considerazione al fine della verifica del comportamento, della condotta che integra il reato. In questi termini l’atto amministrativo viene “retrocesso a fatto”; non è l’atto a dover essere sindacato dal giudice penale ai fini della verifica della sussistenza del reato di corruzione propria, ma una condotta umana, e cioè come il pubblico ufficiale si sia posto rispetto alla funzione pubblica di cui è titolare e cosa abbia fatto in concreto per “giungere” all’atto.

L’atto discrezionale e il comportamento sottostante sono contrari ai doveri di ufficio nei casi in cui “siano state violate le regole sull’esercizio del potere discrezionale o ne siano stati consapevolmente alterati i fondamentali canoni di esercizio in vantaggio del corruttore”. L’esistenza di un potere discrezionale non basta a far ritenere integrata la fattispecie di corruzione propria che invece sussiste solo ove sia dimostrata la violazione di una delle regole sull’esercizio del corrispondente potere.

È necessario esaminare la struttura del patto corruttivo, da una parte, per accertare se sia o meno identificabile “a monte” un atto contrario ai doveri di ufficio, e, dall’altro, per verificare la condotta del pubblico agente nei settori che interferiscono con gli interessi del corruttore, per comprendere se il predetto funzionario, al di là del caso di manifeste violazioni di discipline cogenti, di elusione della causa fondativa del potere attribuito, abbia, in conseguenza del patto, fatto o meno buon governo del potere assegnatogli, tenendo conto di tutti i profili valutabili, o se abbia pregiudizialmente inteso realizzare l’interesse del privato corruttore, a fronte di ragionevolmente possibili esiti diversi.

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