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È possibile rinunciare al diritto di proprietà su un bene immobile?

Con la sentenza 11 agosto 2025 n. 23093, la Corte Suprema di Cassazione si è espressa, a sezioni unite, sul quesito posto in via pregiudiziale, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., se sia possibile e valido rinunciare alla proprietà immobiliare.

La questione nasce da due episodi di rinuncia mediante atto pubblico alla proprietà di fondi, poiché non più di utilità per il proprietario.

Ad avviso della Suprema Corte ciò è possibile poiché la rinunzia è un atto unilaterale non recettizio. Con la rinunzia si estingue il diritto di proprietà. Tale vacanza determina l’acquisto a titolo originario del bene immobile da parte dello Stato ai sensi dell’art. 827 cod. civ.

L’interesse alla rinunzia è l’estinzione del diritto che si inserisce nella realizzazione dell’interesse patrimoniale del proprietario.

La razionalità economica dell’effetto che produce è disfarsi di un bene dispendioso.

Ciò, ovviamente, salvo che su quel determinato bene, non vi sia una norma che vieti espressamente la rinunzia, in attuazione dell’art. 42, secondo comma, Cost.

Naturalmente, ai soli fini della pubblicità dell’esercizio del diritto abdicativo della proprietà, si richiede, come regola di comportamento, che lo stesso sia effettuato con atto pubblico o scrittura privata da trascriversi nei pubblici registri.

La comunicazione non è un requisito di efficacia dell’acquisto a titolo originario da parte dello Stato che diventa titolare del bene nel momento stesso in cui la rinunzia è effettuata.

La mancata trascrizione potrebbe, al più, comportare l’insorgere di un diritto di rivalsa da parte dello Stato nei confronti del rinunziante per gli eventuali danni che lo stesso è chiamato a risarcire oggettivamente a terzi per essere ormai (anche inconsapevolmente) divenuto proprietario.

Sulle ragioni che hanno spinto il proprietario a rinunciare al proprio diritto di proprietà il giudice non può indagare sia perché le limitazioni della proprietà, preordinate ad assicurarne la funzione sociale, devono essere stabilite dal legislatore, sia perché non può ricavarsi dall’art. 42, secondo comma, Cost., un dovere di essere e di restare proprietario per motivi di interesse generale.

Sulla base di queste considerazioni, la Suprema Corte ha enunciato i seguenti principi di diritto:

1. La rinuncia alla proprietà immobiliare è atto unilaterale e non recettizio, la cui funzione tipica è soltanto quella di dismettere il diritto, in quanto modalità di esercizio e di attuazione della facoltà di disporre della cosa accordata dall’art. 832 cod. civ., realizzatrice dell’interesse patrimoniale del titolare protetto dalla relazione assoluta di attribuzione, producendosi ex lege l’effetto riflesso dell’acquisto dello Stato a titolo originario, in forza dell’art. 827 cod. civ., quale conseguenza della situazione di fatto della vacanza del bene. Ne discende che la rinuncia alla proprietà immobiliare espressa dal titolare “trova causa”, e quindi anche riscontro della meritevolezza dell’interesse perseguito, in sé stessa, e non nell’adesione di un altro contraente.

2. Allorché la rinuncia alla proprietà immobiliare, atto di esercizio del potere di disposizione patrimoniale del proprietario funzionalmente diretto alla perdita del diritto, appaia, non di meno, animata da un “fine egoistico”, non può comprendersi tra i possibili margini di intervento del giudice un rilievo di nullità virtuale per contrasto con il precetto dell’art. 42, secondo comma, Cost., o di nullità per illiceità della causa o del motivo: ciò sia perché le limitazioni della proprietà, preordinate ad assicurarne la funzione sociale, devono essere stabilite dal legislatore, sia perché non può ricavarsi dall’art. 42, secondo comma, Cost., un dovere di essere e di restare proprietario per motivi di interesse generale. Inoltre, esprimendo la rinuncia abdicativa alla proprietà di un immobile essenzialmente l’interesse negativo del proprietario a disfarsi delle titolarità del bene, non è configurabile un abuso di tale atto di esercizio della facoltà dominicale di disposizione diretto a concretizzare un interesse positivo diverso da quello che ne giustifica il riconoscimento e a raggiungere un risultato economico non meritato.

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